Exhibition. Don’t Shoot the Painter

Don’t shoot the painter (Non sparate sul pittore) [1] mette in mostra i dipinti della collezione contemporanea d’arte di UBS presso la GAM (Galleria d’arte Moderna) di Milano, dal 17.06.2015 al 04.10.2015. In mostra sono presentati 110 opere realizzate a partire dagli anni 1960.

Don’t shoot the painter is the exhibition of the paintings of the UBS contemporary art collection at GAM (Galleria d’arte Moderna), Milan, from 17.06.2015 to 04.10.2015. There are presented 110 works from the sixties of the twentieth century.

Tra gli artisti ricordiamo : John Armleder, John Baldessari, Jean-Michel Basquiat, Michaël Borremans, Alice Channer, Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Gunther Förg, Gilbert & George, Katharina Grosse, Andreas Gursky, Damien Hirst, Alex Katz, Bharti Kher, Gerhard Richter, Thomas Struth, Hiroshi Sugimoto, Mark Tansey e Christopher Wool.

Featured artists include: John Armleder, John Baldessari, Jean-Michel Basquiat, Michaël Borremans, Alice Channer, Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Gunther Förg, Gilbert & George, Katharina Grosse, Andreas Gursky, Damien Hirst, Alex Katz, Bharti Kher, Gerhard Richter, Thomas Struth, Hiroshi Sugimoto, Mark Tansey and Christopher Wool.

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Il percorso espositivo si compone di 7 sale divise per tema :

_Sala 1 Introduzione

_Sala 2|3 Il paesaggio

_Sala 4 Il ritratto

_Sala 5 Figurativismo e rappresentazione della figura umana

_Sala 6|7 Il colore.

The exhibition consists of 7 halls divided by theme :

_ Room  1 Introduction

_ Room 2 | 3 The landscape

_ 4 Room The portrait

_ Room 5 Figurative style and representation of the human figure

_ Room 6 | 7 Color.

La prima sala definisce il concept dell’intera mostra presentando allo spettatore una fotografia, la celebre National Gallery 1, London 1989 (1989), di Thomas Struth. Con questa fotografia Struth coglie la fruizione dell’opera d’arte in quella che diventa la scena dello spazio museale, segnalando così la relazione tra l’opera d’arte,  lo spazio e lo spettatore. Il contenuto di questa fotografia coglie dunque la complessità del nuovo soggetto. L’allestimento cerca di far proprio il concetto di questa fotografia riproponendo al visitatore diverse fotografie monocromatiche delle sale della GAM. Le fotografie diventano la texture delle pareti espositive sulle quali posizionare i dipinti a tutt’altezza, creando nella visione finale un effetto wunderkammer.

The first room defines the concept of the entire exhibition through a photograph, the famous National Gallery 1, London 1989 (1989), by Thomas Struth. With this photograph Struth captures the fruition of the artwork in what becomes the scene of the museum space, indicating the relationship between the work of art, space and the viewer. The content of this photograph captures the complexity of the new subject. Then, the exhibition tries to get the concept of this photograph by showing to the visitor a series of different monochromatic photographs of the rooms of GAM. The photographs become the texture of the exhibition walls, where to position full height paintings, thus creating an overall wunderkammer effect.

Di seguito qualche immagine della mostra. Here some pictures of the exhibition.

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[1] Nei saloon del Far West c’era la scritta Don’t shoot the pianist (Non sparate sul pianista).

MOSTRA GAM Milano

Exhibition. “The wild west” a Warszawa

In questo post di fine agosto vorrei parlarvi della città di Varsavia. Città che ho avuto il piacere di visitare quest’estate, ma nella quale mi ero già imbattuta durante un viaggio interrail, circa 17 anni fa.

Mi ricordo che in quell’occasione sono uscita qualche momento dalla stazione, la Warszawa Centralna, e, all’istante, davanti ai miei occhi si erge maestoso il Palazzo della cultura (Pałac Kultury i Nauki, costruito tra il 1952 e il 1955), anche detto Palazzo di Stalin, con i suoi 237 metri d’altezza. Una sensazione strana, che ancora oggi riesco a ricordare con chiarezza.

Raggiungiamo però la Varsavia del 2015 per raccontare una mostra interessante e stimolante dal titolo The Wild West. A history of Wrocław’s Avant-Garde, realizzata presso la Galleria Nazionale d’Arte Zachęta.

L’esposizione ripercorre la storia dell’avanguardia artistica di Wrocław (una cittadina nel sud-ovest della Polonia), in un percorso cronologico che va dal 1953 al 2009 circa. Ma è anche la storia di questa città speciale vista attraverso l’arte creata . Una mostra, dunque, che rintraccia la realtà quotidiana e i luoghi di Wrocław (Breslavia in italiano), dove un microcosmo di artisti ha preso vita attraverso la creazione di scuole d’arte, musei, film studios, laboratori teatrali, associazioni.

Avanguardia che vede al suo interno l’attività di più linguaggi : teatro, performance, video arte, pittura, fotografia, cinema, musica, poesia, architettura, urbanistica, design. Dunque, un percorso espositivo tematico – con quasi 500 opere – realizzato con un allestimento semplice e chiaro, che definirei “less is more”, che illustra al visitatore le diverse pratiche di questi artisti e i cambiamenti avvenuti nella città.

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CATALOGO DELLA MOSTRA

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Foto del 26-08-15 alle 15.34

Vi segnalo anche delle gallerie d’arte scoperte camminando tra le vie di Varsavia

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Bwawarszawa

Galeriafoksal

Gallery Le Guern

Queste gallerie, e molte altre, parteciperanno all’evento che si terrà dal 25 al 27 settembre 2015 a Varsavia, il Warsawgalleryweekend

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Per concludere, vi segnalo un bel locale, il Resort (Ul. Bielanska 1), un ottimo posto per bere, rilassarsi e ascoltare buona musica.

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Exhibition : Cucine & Ultracorpi

Recentemente ho visitato la mostra dal titolo CUCINE & ULTRACORPI (9 aprile-21 febbraio 2015) realizzata alla Triennale di Milano in occasione dell’Expo 2015. La mostra costituisce l’ottava edizione del Triennale Design Museum. Il tema scelto è quello  della cucina come luogo che ospita il maggior livello di innovazione tecnologica della casa.

Il curatore della mostra è Germano Celant, mentre l’allestimento scenografico è stato concepito dallo Studio Italo Rota con Alessandro Rigamonti, Andrea Bolla e Giacomo Garnier e Simon Oropeza.

La mostra è stata allestita nello spazio della Triennale Design Museum all’interno del Palazzo dell’Arte.

Uno spazio dal percorso circolare, che spezza la prospettiva. Così il percorso mise en scène    traccia delle linee, delle regolarità tematiche.

Le tematiche affrontate dal tema della mostra sono 12 :

Timers / Alarms / Water /  Fire / Earth / Air

Hearing / Environment / Touch / Smell / Minikitchen / The kitchen as place

Lo spazio è utilizzato sia verticalmente che orizzontalmente, creando passaggi chiusi e aperture visive. Inoltre, l’esposizione coinvolge e attiva, di volta in volta, i sensi dello spettatore.

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Entrance

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Timers

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Alarms

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Fire

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Hearing

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Air

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Smell

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Una mostra che esibisce il meglio del design degli elettrodomestici – piccoli e grandi  – da cucina dando rilevanza alla funzione e alla forma. Gli elettrodomestici sono a loro volta accolti da strutture diverse che oltre a contenerle ne intensificano la visione.

# Diagramma

Tracciare l’ontologia dell’Exhibition design

L’exhibition design è una disciplina di progetto che mobilita al suo interno più e differenti discipline. Infatti, l’exhibition design utilizza strumenti e linguaggi plurimi che interessano l’architettura degli interni, i materiali, le tecnologie, la multimedialità, la comunicazione grafica, l’antropologia, le arti. L’exhibition design presenta numerose applicazioni e derivazioni. In altre parole, l’exhibition design, essendo un progetto, implica luoghi, spazi e architetture (interni ed esterni ),  organizzando una strategia di elementi volti alla communicazione – presa nel suo più ampio significato.

Infine, la funzione dell’exhibition design è quella di stabilire e  intrattenere una  relazione, tra il visitatore e lo spazio, che porta il visitatore a cogliere le interrelazioni tra gli elementi e lo spazio. Si tratta, quindi, di considerare un insieme di elementi disposti che interagiscono tra di loro. Date queste premesse, noi proveremo a comprendere l’ontologia [1] della disciplina – exhibition design – attraverso un modello di rappresentazione concettuale Entità/Relazione (ERD, entity-relationship diagram) [2]. Infatti, la rappresentazione a diagramma ci permette di rendere riconoscibili le relazioni tra i concetti, che possono essere osservati e manipolati, con l’obiettivo di studiare le nozioni costitutive della disciplina a differenti livelli di astrazione. Considerando, in particolare, i due concetti di base « progetto » e « spazio allestito » e il loro rapporto. La modellizzazione, in quanto processo d’analisi, è sviluppata a partire da uno studio sistemico dello stato dell’arte dell’exhibition design.

[1] Searle, J. (1995). The Construction of Social Reality. New York : The Free Press.

[2] Cf. Batini, C., Ceri, S., & Navathe, S. B. (1991). Conceptual database design: an Entity-relationship approach. Benjamin-Cummings Publishing Co., Inc. Redwood City, CA, USA. Wand, Y. (1996). Ontology as a foundation for meta-modelling and method engineering. Information and Software Technology, 38 (4), 281-287.

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La camicia bianca secondo me. Gianfranco Ferrè in mostra

La mostra La camicia bianca secondo me_Gianfranco Ferrè è stata allestita nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, a Milano.  Le Cariatidi, quaranta statue a stucco con figure maschili e femminili  poste a sostegno della balconata sono opera dello scultore Gaetano Callani, chiamato, da Giuseppe Piermarini – l’artefice della trasformazione in stile neoclassico di Palazzo Reale – a realizzarle dal 1774 al 1776.

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La mostra inizia con un passage. I teli, su cui scorrono macro-immagini di disegni autografi di Gianfranco Ferré – l’architetto della moda milanese –,  permettono di cogliere i primi segni che delineano la sua visione poetica.

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Il percorso prosegue passando per uno spazio-accoglienza dove troviamo delle fotografie su pannelli di modelle che indossano alcune delle camicie bianche in esposizione.

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Arriviamo finalmente nella Sala delle Caritiadi, il cuore dell’esposizione, dove il nostro sguardo rimane affascinato da una luce che avvolge un insieme di camicie bianche.

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La struttura allestita è composta da sei file – ciascuna di cinque camicie – sorrette da leggeri fili di alluminio che generano in maniera imprevidibile del movimento. Al lato della struttura principale, posta su un rivestimento di tessuto nero, sono disposte delle teche che contengono bozzetti e riviste di moda dell’epoca Ferré.

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Su parte del soffitto della sala, scorrono lentamente le immagini delle camicie bianche che appaiono agli occhi del visitatore come leggere nuvole.

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Il sistema d’illuminazione crea dei giochi di luce e ombra che destano in un continuum spaziale l’attenzione del visitatore.

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Per concludere, possiamo osservare come la scenografia sia riuscita nell’intento di esibire e valorizzare le geometrie e i diversi effetti dei tessuti di queste magnifiche camicie bianche. Evidenziando, anche, gli elementi progettuali più innovativi e le diverse interpretazioni. Tutto ciò porta a far scoprire al visitatore le forme che può assumere la camicia bianca, vero e proprio paradigma delle creazioni dello stilista.

Nota: la mostra, di Palazzo Reale a Milano, è una rielaborazione dello studio CastagnaRavelli dell’allestimento di Guicciardini e Magni Architetti per il Museo del Tessuto di Prato.

MOSTRA FONDAZIONE GIANFRANCO FERRE

# Le parole dell’Exhibition Design

 

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Iniziamo questo 2015 con un articolo che vuole provare a tracciare – certamente non esaustiva o completa – un vocabolario dell’exhibition design attraverso le sue parole. Questo insieme di parole che inizieremo a comporre servirà per mostrare e rilevare la pluridisciplinarietà dell’exhibition design.

Il nostro compito sarà, infatti, quello di monitorare – nel corso del tempo – il movimento  delle parole che compongono la disciplina, collocandole in una prospettiva in divenire.

Oggetto – Colore – Illuminazione – Materia – Percorso – Visitatore – Spazio – Forma – Temporaneità – Circolarità – Architetture – Fisicità – Tecnologia – Grafica – Narrazione – Comunicazione – Multimedialità – Immaginario – Mise en scène – Suono – Testo – Immagini – Sensi – Arte – Effimero – Prospettiva – Prossemica – Vuoto – Pieno

Appello ai lettori _ Inviate altre parole !

Esporre #6 Fuori scala

 

… riflessioni attorno alle

pratiche d’agencement

 

Siamo al sesto capitolo del nostro percorso sull’allestimento. In questo breve articolo ci occuperemo del FUORI SCALA, allestire una mostra attraverso il concept del fuori scala creando allo stesso tempo un effetto efficace, spiazzante e immediato. Il tema del fuori scala ci porta a considerare l’esempio del Mosè di Michelangelo Buonarroti. Si osserva un imponente Mosè seduto, con le tavole della Legge poste sotto il braccio.

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Le costruzioni fuori scala sono invenzioni e allusioni che attraggono lo sguardo del visitatore, diventando dei segnali, dei supporti, dei contenitori. Stimolando la percezione falsata degli elementi. Di seguito riporteremo alcuni esempi dell’uso del fuori scala nell’allestimento.

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Padiglione RAI, Achille Castiglioni con Enzo Mari, 1965.

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Padiglione ENI, Achille e Piergiacomo Castiglioni, Fiera di Milano, 1958.
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Venti progetti per il futuro del Lingotto, Achille Castiglioni con R. Avanzini, A. Bianda, E. Promontorio, grafica Pierluigi Cerri, Torino, 1984.
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Nidi di uomo-green project, Milano, http://www.aaahhhaaa.it
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Kitchen garden, Milano, 2007, http://www.aaahhhaaa.it
Hogan Riders-Tales&Times of motorcycle lifestyle, studio Migliore+Servetto Architects, Milano, 2003.
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Grandi librerie abitate da differenti oggetti.

Altro esempio è l’allestimento dello studio milanese Migliore+Servetto Architects dal titolo THE NEW YORK TIMES ANNIVERSARY, che si è svolto al Bulgari Hotel di Milano in occasione del FuoriSalone del 2009. L’elemento fuori scala che cambia la percezione del visitatore è la riproduzione della carta da gioco. Vi segnaliamo il link alle immagini  dell’allestimento http://architettimiglioreservetto.it/nyt-anniversary/

Bibliografia

Ico Migliore, Mara Servetto, Space Morphing, Edizione 5 Continents, Milano, 2007.

Bob Noorda

Bob Noorda nasce nel 1927 ad Amsterdam dove si è formato e ha ricevuto un’educazione razionalista presso l’Istituto IvKNO (Instituut voor Kunstnijverheidsonderwijs, Istituto per l’educazione alle arti industriali). All’inizio del 1950 Noorda decise di trasferirsi a Milano per via del clima di grande fermento ed evoluzione culturale e industriale che caratterizzava al tempo la città.

Infatti, Milano incarnava quel particolare e proficuo intreccio fra mondo imprenditoriale e cultura del progetto. Le maggiori aziende italiane (come Olivetti, Italsider, Montecatini, La Rinascente, Necchi, Rai, Pirelli) affidavano a grafici, architetti, fotografi, artisti e intellettuali il compito di tradurre in artefatti comunicativi, di carattere moderno, la loro immagine pubblica e promuovere, così, la diffusione dell’oggetto industriale.

Il lavoro di Noorda si distingue soprattutto per la chiarezza formale e l’essenzialità espressiva. Le sue pratiche hanno spaziato dalla valorizzazione dell’immagine aziendale (la corporate identity), alla cura dell’imballaggio (Upim-La Rinascente) e del design del prodotto fino all’allestimento di spazi di esposizioni e vendita (Coop).

Nel 1963 venne chiamato dall’architetto Franco Albini 
per condividere il progetto della linea 1 della Metropolitana di Milano. In seguito si occupò della segnaletica della metropolitana di New York (1966-1970) e di San Paolo (1973, Brasile).

«Per me la segnaletica è il sistema-guida dell’accoglienza […]. Il pensiero razionalista ti aiuta a capire la scelta migliore da offrire al pubblico, e questa, per me, è un po’ la funzione della grafica. […] Il grafico non è un artista che possa agire secondo il proprio libero pensiero […] non mi sono mai sentito libero, in questo senso, perché ho sempre dovuto individuare un sistema visivo facilmente comprensibile per il pubblico. È questa, per me, la grande differenza tra l’opera dell’artista e quella del grafico […] e la differenza tra pubblicità e grafica» [1]

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Nel 1972 affrontò la nuova identità internazionale di Agip-Eni (ripresa nel 1998 nel momento in cui gli fu affidato il rinnovo di Eni spa) per la quale elaborò un ampio programma di interventi grafici, integrati al nuovo marchio, rivisto rispetto alla versione del “cane a sei zampe” o drago-cane di Luigi Broggini del 1952.

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Luigi Broggini, 1952.
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Bob Noorda, 1972.

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Numerose sono le aziende italiane che si rivolsero a Noorda nel corso della sua attività, fra le altre Coop. Con quest’ultima, infatti, inaugurò a partire dal 1984 una lunga collaborazione per la ridefinizione dell’identità visiva (revisione del marchio realizzato nel 1963 da Albe Steiner) e dell’allestimento interno dei punti vendita.

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A sinistra il logo di Steiner, a destra il restyling di Noorda.

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[1] Bob Noorda, Francesco Dondina, Una vita nel segno della grafica, dialogo con Bob Noorda, p. 28 s.

Bibliografia

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On the Road. Bob Noorda il grafico del viaggio, Aiap, Milano, 2014.

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Bob Noorda, Francesco Dondina, Una vita nel segno della grafica, dialogo con Bob Noorda, San Raffaele, Milano, 2009.

Esporre #5

… riflessioni attorno alle

pratiche d’agencement

 

In questo quinto capitolo ci occuperemo del tema della luce, illuminare l’esposizione. L’evoluzione della luce artificiale nell’allestimento (permanente e temporaneo) deriva dalle mutevoli idee progettuali che si sono sviluppate nel corso del tempo. Idee progettuali che hanno fatto dell’analisi e dell’uso – anche sperimentale – di principi tecnici una vera risorsa per l’innovazione nel campo dell’illuminazione. In questo post vorremo fornire, da un punto di vista percettivo, una breve panoramica sulle tipologie di progettazione della luce artificiale presente soprattutto in ambienti museali, gallerie o siti d’interesse culturale che il più delle volte non possono accogliere interventi di trasformazione strutturale (che permetterebbero l’accesso alla luce naturale).

Il progetto di luce, dunque, è materia complessa perché al suo interno annette un numero di variabili che dipendono da differenti campi disciplinari e richiedono un coordinamento  organizzato e competente già a partire dalle prime fasi di pensiero del progetto allestitivo.

Di alcune funzioni della luce

La luce d’accento segna oggetti o elementi architettonici con dei coni di luce a fascio stretto e contorni più o meno nitidi.

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Luce d’accento

La luce a fascia orizzontale favorisce la continuità visiva tra un oggetto e l’altro senza procurare forti contrasti. Mentre, la luce effetto ‘wall-washer’ genera un effetto omogeneo e costante sulla parete.

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A sinistra. Luce a fascia orizzontale di origine anglosassone. A destra. Luce a ‘wall-washer’ con effetto parete luminosa.

La luce con sagomatore  permette di concentrare l’illuminazione solo nella parte d’interesse creando così un forte contrasto tra la superficie illuminata e lo sfondo.

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Luce con sagomatore.

La luce d’accento utilizzata su un oggetto tridimensionale genera un effetto variabile in base all’effetto di contrasto desiderato. L’ampiezza delle ombre sarà condizionato dall’angolazione del corpo illuminante. Mentre, la luce dal basso su un oggetto tridimensionale crea una percezione dello spazio e dell’oggetto più vicina alla scenografia teatrale. Per esempio a teatro le luci basse del palcoscenico vengono sfruttate per rappresentare una particolare atmosfera drammatica replicabile anche nell’allestimento.

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A sinistra. Luce d’accento orientata su un oggetto tridimensionale. A destra. Luce dal basso.

Infine, nell’ultima figura qui sotto abbiamo un esempio dell’effetto di lettura in negativo che si basa sul principio di anteporre un oggetto di fronte a uno schermo o a una superficie radiante e omogenea. Il risultato è una sagoma del volume che si profila sul fondo luminoso.

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L’effetto negativo.

Per concludere, di seguito riportiamo alcune immagini della mostra Carlo Saraceni 1579 – 1620 (Roma, 28 novembre 2013- 2 marzo 2014), realizzata all’interno di un palazzo storico, Palazzo Venezia, dove la soluzione illuminotecnica s’integra perfettamente con le forme delle pareti costuite, i colori scelti per dell’allestimento e soprattutto il palazzo preesistente. L’effetto finale è quello di una luce (che ha la sua origine nelle pareti) che sembra sostenere delle tele galleggianti nel colore.

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Riferimenti bibliografici

Le figure relative alle tipologie d’illuminazione sono state estratte dal libro di Alberto Pasetti, Luci per esporre. Illuminare tra design e tecnica, Marsilio, Venezia, 2006.

2014. Salone del Mobile

“Milano è un enorme conglomerato di eremiti”
Eugenio Montale

Come ogni aprile arriva l’appuntamento annuale con il Salone del Mobile [1], il Salone Satellite e il Fuorisalone. Con questo post interrompiamo per questo mese il nostro studio/ricerca sull’exhibition design dal titolo “Esporre #”, per proporvi (all’interno di un panorama ornamentale) due mostre della Triennale di Milano. Mostre che abbiamo visitato ed apprezzato nell’allestimento espositivo.

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La prima nostra dal titolo LIGHT is TIME è presentata dal brand giapponese Citizen che espone per la prima volta al Salone del Mobile di Milano. Il concept dell’allestimento è riassunto nella frase “Il Tempo è luce. La Luce è tempo”. Nella sala espositiva della Triennale, in uno spazio rilevante, il visitatore viene accolto da circa 80.000 “piani di proiezione” fatti con le platine dell’orologio (la base strutturale dell’orologio). Dalla planimetria dell’allestimento emergono tre zone – collegate tra loro – che narrano l’universo di Citizen : 1] Le origini 2] I componenti 3] Gli orologi. La pianta dell’esposizione a navata con abside circolare avvicina lo spettatore ad un immaginario sacrale dove una sinfonia di luci e piccoli componenti, riempiendo lo spazio, segnano e accompagnano il percorso del visitatore. Il progetto allestitivo prende spunto dalla tecnologia brevettata da Citizen dell’Eco-Drive. Un sistema di carica dell’orologio a luce solare o artificiale, che elimina il bisogno di batterie evitando l’utilizzo di sostanze altamente inquinabili durante la lavorazione del prodotto. Il progetto d’allestimento è ad opera dello studio parigino DGT (Dorell.Ghotmen.Tane/Architects).

 

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La seconda mostra dal titolo The Art of Living è presentata dal Corriere della Sera Interiors Magazine. La mostra è dedicata alla relazione tra design e spazi della casa. Dieci scenari domestici che vedono dialogare il mondo dell’arredamento con installazioni create ad hoc da cinque artisti italiani : Nicola Gobbetto, Paolo Gonzato, Marco Andrea Magni, Alice Ronchi e Francesco Simeti. La mostra inizia con un’installazione sponsorizzata dal brand Volvo dal titolo Volvo Cloud Installation. Una nuvola bianca, sulla quale vengono proiettate delle immagini, è il punto di partenza della mostra.

Successivamente si passa al corridoio che accompagnerà il visitatore a scoprire i 10 scenari del mondo dell’arredamento. Scenari che sono stati tradotti in dieci “scatole aperte” – che ricordano le scatole porta bijoux – con l’illuminazione posta internamente alla sottile cornice che inquadra le scatole. La cornice, inoltre, nella parte alta diventa un pannello grafico che comunica il titolo dello scena, il nome dell’artista e del designer  (per esempio, Home office, Living, Kitchen, Patio, In&out). Le 10 “scatole aperte” sono intervallate da spazi con sedute munite di schermo informativo. Il progetto d’allestimento è ad opera dello studio milanese Migliore+Servetto Architects.

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[1] Il Salone del Mobile nasce nel 1961, diventando internazionale a partire dal 1967.

Sull’Argomento…

Luigi Settembrini, Vergani Guido (a cura di), Made in Italy? 1951-2001, Milano, Skira, 2001.

Andrea Branzi, Introduzione al design italiano, Milano, Baldini&Castoldi, 1999.

Ugo La Pietra, Domesticarte. Ambienti e oggetti per abitare con arte, Firenze, Alinea, 1990.